Utente:Riottoso/sandbox2
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Alla fine del 1915 la situazione militare dell'impero austro-ungarico migliorò sensibilmente: nonostante le terribili perdite del primo anno di guerra i ranghi dell'esercito furono rimpolpati, la Serbia era stata sconfitta, le capacità offensive dell'esercito russo erano state temporaneamente spezzate con il fronte orientale spostato ben all'interno del territorio russo, l'offensiva italiana sull'Isonzo era stata efficacemente contenuta e la produzione di materiale militare nell'impero era notevolmente aumentata.[1]. tuttavia il logoramento dell'esercito era stato fortissimo e i rifornimenti alimentari iniziavano a scarseggiare, cosicché la guerra su due fronti diventava sempre più difficilmente sostenibile per l'Austria-Ungheria. Per uscire da questa situazione il capo di stato maggiore Franz Conrad von Hötzendorf riteneva fondamentale riprendere l'iniziativa con un'offensiva di rilievo strategico. Attaccare la Russia era fuori questione dato che l'esercito zarista rimaneva troppo forte e le pianure dell'impero erano troppo vaste, così Conrad spostò la sua attenzione contro l'Italia.
Consapevole del vantaggio strategico offerto dal saliente Trentino che si incuneava nel territorio italiano, Conrad progettò un'offensiva che avrebbe preso alle spalle il grosso dell'esercito italiano posizionato sull'Isonzo, costringendolo ad una ritirata disordinata per non essere accerchiato, nel tentativo di far uscire l'Italia dalla guerra. Le forze disponibili erano però insufficienti: Conrad riteneva di dover impegnare 16 divisioni, e perciò già nell'inverno del 1915 chiese al suo omologo tedesco Erich Von Falkenhayn ben otto divisioni da impegnare nell'offensiva o da schierare sul fronte russo in sostituzione delle divisioni austroungariche necessarie per l'offensiva. Falkenhayn rifiutò in quanto stava pianificando la sua gigantesca offensiva su Verdun, così Conrad fu costretto a sottrarre forze dal fronte russo e da quello dell'Isonzo per arrivare a schierare almeno 14 divisioni, con 190 battaglioni di fanteria (156000 uomini circa) e 1150 pezzi d'artiglieria (di cui 200 di medio e 60 di grosso calibro).
In Italia, fin dall'immediato dopoguerra con i governi De Gasperi, non è mai stato affrontato il passato coloniale, anzi è stata favorita un'opera di rimozione delle colpe e di mistificazione politica. Il mancato dibattito sul colonialismo e la lettura in chiave apologetica delle imprese italiane atte a rinforzare il concetto degli "italiani brava gente", non soltanto ha permesso che i maggiori responsabili di genocidi e massacri non fossero mai giudicati, ma ha ostacolato per decenni l'opera degli storici nella ricerca della verità.
Chiaro esempio di questa mistificazione fu la pubblicazione dell'opera L'Italia in Africa da parte del Ministero degli affari esteri, che cercò rozzamente di esaltare i presunti meriti della colonizzazione italiana, tacendo del tutto sulle enormi perdite umane etiopi, sulla creazione di campi di concentramento Libia, Somalia ed Eritrea, sulla la decapitazione della chiesa copta a Debra Libanos, e del massacro di civili a Zeret e nella capitale Addis Abeba. Solo a partire dal 1973 con la pubblicazione da parte di Giorgio Rochat de Il colonialismo italiano, si ha una svolta sugli studi del colonialismo, trattato dallo storico valdese senza sottacere le gravissime responsabilità dei vertici politici italiani e le enormi perdite umane. Col tempo a Rochat si affiancarono Angelo Del Boca, Matteo Dominioni, Nicola Labanca, Giuliano Procacci, Eric Salerno solo per citarne alcuni, che lavorarono parallelamente ad alcuni storici stranieri quali Richard Pankhurst, Ian L. Campbell e Degife Gabre Tsadik nella stesura di testi e studi specifici che rendessero noti all'opinione pubblica i crimini compiuti dagli italiani in Africa per troppi anni taciuti. In quest'ottica la strage di civili che avvenne ad Addis Abeba il 19 febbraio 1937 fu ampiamente documentata e studiata anche grazie all'accesso al "Fondo Graziani" e alle testimonianze raccolte da Del Boca e Pankhurst in Etiopia, tratte in parte anche dal corposo Documents on italian War Crimes submitted to the United Nations War Crimes Commission, redatto dal ministero della giustizia d'Etiopia tra il 1949 e il 1950, e attentamente censurato in Italia.
Fin dall'immediato dopoguerra i crimini di guerra italiani in Africa furono taciuti per decenni dai vari governi succedutisi alla guida dell'Italia, probabilmente per rinforzare il concetto degli "italiani brava gente", ma soprattutto per la mancanza di volontà della classe dirigente, dopo la firma del trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 che ci privava per sempre delle colonie, di avviare nel paese un serio, organico, vasto e definitivo dibattito sul fenomeno del colonialismo. Solo a partire dal 1973 con la pubblicazione da parte di Giorgio Rochat de Il colonialismo italiano, si ebbe una svolta sugli studi in questo ambito; col tempo diversi storici italiani e stranieri resero noti all'opinione pubblica i crimini compiuti in Africa dagli italiani, tra i quali la creazione di campi di concentramento in Libia, Somalia ed Eritrea, la decapitazione della chiesa copta a Debra Libanos, e i massacri di civili a Zeret e nella capitale Addis Abeba[2].
Diversi storici diedero vita ai più particolareggiati studi sui massacri che avvennero ad Addis Abeba tra il 19 e il 21 febbraio 1937, senza risparmiare giudizi negativi e impietosi sulla politica assolutistica e repressiva avuta dagli italiani nei confronti della popolazione etiope di Addis Abeba. Dai due storici sono state raccolte decine di testimonianze oculari e sono stati utilizzati documenti d'archivio sia italiani che etiopici, che hanno potuto confermare come in quelle giornate di febbraio si scatenò quella che Angelo Del Boca definì: «la più furiosa caccia al nero che il continente africano avesse mai visto»[3]. e che Rochat paragona ad un «vero e proprio pogrom [...] che portò alla luce l'odio razziale dei colonizzatori e la diffusa consapevolezza che solo il brutale terrore poteva rinsaldare il precario dominio italiano»[4]. Ma la persistente lettura in chiave apologetica delle imprese coloniali italiane da parte della politica, ha favorito nel tempo una vera e propria rimozione delle colpe, e ha permesso l'assoluzione dei maggiori criminali di guerra italiani, compresi coloro che hanno esercitato la loro brutale vendetta contro la popolazione di Addis Abeba. Solo nel 1998, con una nuova politica inaugurata dal ministro degli esteri Lamberto Dini e dal viaggio in Africa orientale del presidente Oscar Luigi Scalfaro, con l'esplicita ammissione delle colpe coloniali, ha costituito una prima e necessaria svolta nei rapporti con i paesi africani[2]. Nell'ottobre 2006 ci fu inoltre una proposta di legge per l'istituzione, nel giorno 19 febbraio, del "Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l'occupazione coloniale italiana"[5], che però si arenò a causa della caduta del governo Prodi[6].
Tuttavia all'estero, fu lo storico Richard Punkhurst a farsi portavoce nel mondo anglosassone delle
- Rick Atkinson, Il giorno della battaglia. Gli Alleati in Italia 1943-1944, Milano, Mondadori, 2008 [2007], ISBN 978-88-04-58396-7.
- Harold L. Bond, Inferno a Cassino - La battaglia per Roma, Milano, Mursia, 1994, ISBN 88-425-1744-5.
- Mark Clark, Le campagne d'Africa e d'Italia della 5ª Armata americana, Gorizia, Editrice goriziana, 2010 [1952], ISBN 978-88-6102-006-1.
- Eric Morris, La guerra inutile. La campagna d'Italia 1943-45, Milano, Longanesi, 1993, ISBN 978-88-304-1154-8.
- Ken Ford, Le quattro battaglie di Cassino - Lo sfondamento della Linea Gustav, Milano, Osprey Publishing, 2009 [2004], ISSN 1974-9414 (WC · ACNP).
- Frido von Senger und Etterlin, La guerra in Europa. Il racconto di un protagonista, Milano, Longanesi, 2002 [1960], ISBN 88-304-1954-0.
- Sven Hassel, Gli sporchi dannati di Cassino, Milano, Longanesi, 1971, ISBN non esistente.
- William G.F. Jackson, La battaglia di Roma, Milano, Baldini e Castoldi, 1977, ISBN non esistente.
- Matthew Parker, Montecassino - 15 gennaio-18 maggio 1944. Storia e uomini di una grande battaglia, Milano, Il Saggiatore, 2009 [2003], ISBN 978-88-565-0130-8.