Retroazione dell'albedo del ghiaccio
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La retroazione dell'albedo del ghiaccio, talvolta indicata con l'anglicismo feedback dell'albedo del ghiaccio, è un processo climatico a retroazione positiva in cui un cambiamento nell'estensione delle calotte polari, dei ghiacciai e delle banchise, porta all'alterazione dell'albedo - ossia della frazione di luce o, più in generale, di radiazione solare incidente, che viene riflessa in tutte le direzioni da una superficie - e di conseguenza della temperatura superficiale di un pianeta.
La Terra ha un'albedo media di 0,37-0,39 o, in percentuale, del 37-39%, mentre l'albedo della neve fresca arriva fino a 0,9, su un massimo possibile di 1, ed ancora più alta è l'albedo del ghiaccio. È quindi facilmente intuibile che una superficie ghiacciata come quella di una calotta glaciale, riflettendo una maggior percentuale di radiazione solare e assorbendone quindi molto poca, si scaldi meno di una superficie erbosa o terrosa. Ciò che ne consegue è che lo scioglimento dei ghiacci delle calotte e il ritiro dei ghiacciai, lasciando esposta una maggior superficie di terreno o acqua, aumenta il riscaldamento terrestre, che a sua volta concorre allo scioglimento dei ghiacci e alla perdita delle parti più riflettenti della criosfera, dando origine a quella che in climatologia viene chiamata una retroazione positiva. Viceversa, temperature più fredde, soprattutto a latitudini più elevate, aumentano l’estensione della copertura di ghiaccio, facendo aumentare l'albedo globale, cosa che si traduce in un maggior raffreddamento terrestre e così via.
La retroazione dell'albedo del ghiaccio ha sempre svolto un importante ruolo nel cambiamento climatico globale. Essa fu ad esempio importante sia per l'avvio delle condizioni che portarono nello stato climatico della Terra a palla di neve, quasi 720 milioni di anni fa, sia per il loro declino, circa 630 milioni di anni fa:[1] si ritiene infatti che la deglaciazione fosse stata innescata da una graduale diminuzione dell'albedo a causa dell'accumulo di polvere sulla superficie del ghiaccio.[2] Nel passato geologicamente più recente, la retroazione dell'albedo del ghiaccio è stata un fattore fondamentale nell'espansione e nel ritiro delle calotte glaciali durante il Pleistocene (tra i 2,6 milioni e i diecimila anni fa).[3] Più recentemente, uno dei più evidenti effetti dell'aumento delle emissioni di gas serra da parte dall'uomo è stato il declino della banchisa artica, il cui ritiro, portando a una diminuzione dell'albedo, ha fatto sì che l'Artide si riscaldi oggi fino a quattro volte più velocemente della media globale.[4] A livello globale, la decennale perdita di ghiaccio nell'Artide e il più recente declino della banchisa antartica hanno avuto, tra il 1992 e il 2018, lo stesso impatto sul riscaldamento del 10% di tutti i gas serra emessi nello stesso periodo.[5]
La retroazione dell'albedo del ghiaccio era già presente in alcuni dei primi modelli climatici e il suo impatto sul riscaldamento globale e sul conseguente innalzamento del livello globale dei mari è stato quindi simulato per decenni,[6] in maniera via via più precisa e considerando diversi scenari.[7][8] Secondo le più recenti stime, dunque, una perdita persistente di massa glaciale dalla banchisa durante l'estate artica, ossia il periodo dell'anno in cui il Sole splende più intensamente e la mancanza di superficie riflettente ha gli impatti maggiori, produrrebbe un riscaldamento globale di circa 0,19 °C.[9][10] Esistono stime che tengono conto anche dell'impatto del riscaldamento derivante sia dalla perdita dei ghiacciai montani che dalla perdita delle calotte glaciali groenlandese e antartica: a parte il caso della calotta antartica, esso risulta essere generalmente inferiore rispetto a quello derivante dalla diminuzione della banchisa artica e in ogni caso richiederebbe anche molto più tempo per essere osservato per intero.[9][11]