Pleistocene rewilding
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Il Pleistocene rewilding è un termine inglese con cui si indica un'ipotetica reintroduzione in natura della megafauna del Pleistocene esistente o i più stretti equivalenti ecologici della megafauna estinta. Si tratta di un'estensione della pratica di conservazione del rewilding, che prevede la reintroduzione di specie in aree in cui esse si sono estinte in periodi storici (centinaia di anni fa o meno).[1]
Verso la fine del Pleistocene (da circa 13 000 a 10 000 anni fa), quasi tutta la megafauna dell'Eurasia, dell'Australia e del Sud e Nord America si è drasticamente ridotta o si è completamente estinta, in quello che è stato definito come l'evento di estinzione del Quaternario. A seguito della scomparsa di grandi erbivori e specie predatorie, molte delle nicchie ecologiche più importanti per il funzionamento dell'ecosistema sono rimaste scoperte.[2] Nelle parole del biologo Tim Flannery, "dall'estinzione della megafauna, tredicimila anni fa, il continente è rimasto con una fauna gravemente squilibrata". Ciò significa, ad esempio, che i gestori dei parchi nazionali del Nord America devono ricorrere all'abbattimento dei capi per tenere sotto controllo le popolazioni di ungulati.[3]
Paul S. Martin (ideatore dell'ipotesi della sovraccaccia pleistocenica ad opera dell'uomo[4]) afferma che le attuali comunità ecologiche nel Nord America non funzionano adeguatamente in assenza di megafauna, perché gran parte della flora e della fauna autoctone si sono evolute sotto l'influenza dei grandi mammiferi pleistocenici.[5]